lunedì 11 gennaio 2016

Le lacrime di Obama



Non so come, quando e perché il giornalista David Brooks ha cominciato a cambiare idea sul suo presidente, ma so che per me Obama è l’esempio di una grande occasione mancata essendo stato il primo afrodiscendente assurto alla presidenza degli Stati Uniti. La sua responsabilità era grande e gli è stato attribuito immediatamente (per incoraggiarlo?) il Premio Nobel per la Pace. Doppia responsabilità. Il risultato è stato uno degli esempi di ipocrisia e falsità più scandalosi che io conosca. Brooks ricorda quello che mi pare il crimine più scandaloso –la sua autorizzazione all’uso dei droni contro individui accusati di terrorismo- insieme ad altri. Io aggiungerei anche la sua incapacità/impossibilità di chiudere la prigione illegale nonché centro di tortura nell’illegale base di Guantánamo la cui restituzione alla Repubblica di Cuba,, a quanto sostiene lo stesso Obama, non può far parte dei negoziati in corso fra quei due paesi. Perché?


L’immagine della settimana (beh, fino a che è stata superata da quella di Sean Penn e di El Chapo) è stata quella delle lacrime di Obama.
Il presidente, famoso per mantenere sotto controllo le sue emozioni, ha presentato una serie di misure esecutive minime per affrontare quella che alcuni considerano una epidemia di violenza con armi da fuoco –in questo settore, è il paese progredito più sanguinario del mondo con più di 30.000 morti all’anno. Rispetto all’assoluta impossibilità di promuovere riforme alle leggi sempre più permissive sull’acquisto e l’uso personale di armi da fuoco –cosa che in molti considerano un sacro diritto protetto dalla Costituzione-, a causa della ferrea opposizione del Congresso, Obama ha cercato di fare qualcosa tipo imporre un po’ più di controllo.
Affrontando il tema degli incessanti episodi di violenza, soprattutto i pluriomicidi con armi da fuoco in molti casi acquistate legalmente, si è riferito, fra altri avvenimenti sanguinosi, a quanto avvenuto in una scuola elementare del Connecticut nel 2012, quando un giovane armato uccise 20 bambini e 6 adulti. All’improvviso ha interrotto il suo discorso, gli ha tremato la voce e si è sciolto in lacrime. Nella scena teletrasmessa in quel momento si sente il rumore di decine di macchine fotografiche mentre scattano migliaia di foto. La nota diceva: Obama ha pianto.
Si sono subito scatenate reazioni di vario tipo. Commenti conservatori nel media più potente della destra, Fox News, sfottevano chiedendo perché non avesse pianto per le vittime del terrorismo in California mentre qualcuno addirittura insinuava che fosse pura commedia e che di sicuro teneva una cipolla sotto il leggio per provocare le lacrime. I liberali, furiosi per queste insinuazioni, hanno difeso il pianto presidenziale e hanno assicurato che era reale. Altri, che a questo punto non credono più a nessun politico, lo hanno visto come un altro atto della commedia in cui gli attori piangono davvero, ma sanno farlo professionalmente.
Ma perché è difficile sentirsi solidali con le sue lacrime, vere o false che siano?
Nella stessa settimana in cui ha pianto, stava mettendo in atto una politica che poneva a rischio la vita di centinaia di bambini. Il quotidiano più importante del paese, il New York Times, ha pubblicato un editoriale che condanna le retate di madri e figli centroamericani provocate e giustificate da Obama, e ha commentato: un presidente che ha parlato in maniera così commovente sulle morti violente di bambini causate qui da noi dalle armi, si è assunto il compito di spedire madri e figli in viaggi senza ritorno nei paesi più mortiferi del nostro emisfero.
Come hanno denunciato capi religiosi, dirigenti degli immigranti, organizzazioni per i diritti umani e per le libertà civili e perfino la più importante associazione nazionale di avvocati, la American Bar Asociation, che conta 400.000 membri, queste misure non solo vengono eseguite in maniera brutale (gli uniformati arrivano all’alba nelle case a cacciare le madri e i loro figli, già di per sé traumatizzati dalle condizioni dalle quali fuggono), ma violano principi legali nazionali e internazionali, soprattutto nei riguardi dei rifugiati. Neanche una lacrima.
Negli ultimi anni, Obama ha ordinato sempre più missioni per assassinare a lunga distanza –con velivoli noti come droni- contro obbiettivi terroristi. Benché vi sia un dibattito intenso per definire se queste operazioni siano precise e su come limitare i danni collaterali più che in altre missioni con truppe e bombardamenti, fatto sta che gruppi per i diritti umani e non solo sono riusciti a documentare un numero crescente di civili, compresi i bambini, che sono morti durante queste missioni. Alcuni calcoli variano dai 400 ai quasi 1000 civili solo in Pakistan (gli altri paesi dove si eseguono queste missioni sono l’Afganista, la Somalia e lo Yemen), incluso qualcosa come 200 bambini, cioè dieci volte di più di quelli che sono stati abbattuti in Connecticut.
Ex operatori di droni hanno commentato a The Intercept che c’è una grande quantità di vittime civili e che a volte riguardano bambini ammazzati come terroristi per divertimento (fun-size terrorist).
E’ impossibile immaginare una madre che giorno e notte sente il rumore dei droni sperando, pregando che non ammazzino i suoi figli per sbaglio in una di quelle zone di operazione in diversi paesi, e i mari di lacrime che questi popoli hanno versato nelle guerre più lunghe della storia statunitense. Nessuno sa quanti bambini sono morti, nessuno sa chi sono, nessuno sa cosa sognavano. Neanche una lacrima per questi danni collaterali.
Neanche per le famiglie distrutte e per i due milioni e settecento bambini, uno ogni 28 in questo paese, che hanno il padre o la madre in prigione a causa di un sistema di giustizia che è riuscito ad avere la popolazione carceraria più grande del mondo (pro capite), gran parte per delitti non violenti legati alla droga, cioè centinaia di migliaia di vittime della guerra contro la droga, quasi sempre poveri e nella maggioranza afrostatunitensi e latini. Si calcola che uno ogni 110 bambini bianchi ha il padre in carcere, ma per gli afrodiscendenti è uno ogni 15, e per i latini uno ogni 41. Ma niente, neanche una lacrima.
Per non parlare della più grande disuguaglianza economica da prima della grande depressione e dei suoi effetti nocivi, a volte devastanti, per milioni di famiglie che, in conseguenza dell’egoismo protetto dell’uno per cento più ricco –non è un punto ideologico, è empirico- devono accettare la fine dei sogni non solo per loro ma anche per i loro figli. O peggio, vedere i loro figli soffrire la fame (uno ogni sei), o se si appartiene alla minoranza, vivere temendo coloro che si suppone siano lì per proteggerli, vedere come uomini politici nazionali propongono di perseguitarli, e vedere come le conquiste delle lotte per i diritti fondamentali delle donne e delle minoranze vengano minati fino a smantellarli. Di fronte a tutto ciò, gli occhi del presidente restano secchi.
C’è da piangere.

*- David Brooks è editorialista del New York Times ma ha lavorato anche per altri importanti quotidiani nordamericani. Sostenitore di Obama, di cui ha scritto una biografia quando era ancora senatore, ammiratore di Israele, favorevole alla guerra in Irak, negli ultimi anni sembra aver cambiato molte delle sue idee, come dimostra questo articolo pubblicato su La Jornada dell’11.1.2016.
Foto tratta

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